Dal 2004 all’ultima azione tenutasi a Linz in Austria, capitale europea per la cultura del 2009, l’artista Petra Spielhagen (Berlino 1966) porta avanti un progetto artistico itinerante che, attraverso la fotografia, instaura un interessante processo mnemonico grazie alle storie di coloro che sono attratti dalle sue immagini.
Il progetto è semplice, ma il risultato a volte può sorprendere. L’artista costruisce una postazione, un chiosco, e lo installa al centro della piazza del mercato o in luoghi affollati e di passaggio. Le persone, in cambio delle foto (13 x 18 cm) , datate e firmate, sono invitate a rilasciare impressioni, scritte o registrate, che l’artista poi cataloga ed espone come già è avvenuto nella Kunsthaus Kloster di Gravenhorst nel 2007.
La Spielhagen predilige gli scatti notturni. Metaforicamente le storie rilasciate da chi si avvicina alla sua postazione vanno a riempire quei luoghi dove l’essere umano non è mai presente; solo spazi urbani, architettura e natura senza particolare clamore. Lo stile e la tecnica analogica di cui Petra si serve, che a tratti ricorda le inquadrature prospettiche e rigorose degl’interni di Candida Höfer, non è basata su nessuna rielaborazione digitale né supportata da filtri o luci artificiali, eppure il risultato è quello di ambienti esterni che risultano essere pervasi da un’atmosfera innaturale e sospesa, simili a dei plastici di scena, a modelli di scenografie teatrali: “Ich bin auf der Suche nach dem realen Skript zu einer von mir entdeckten Bühne”, Sono alla ricerca di una sceneggiatura reale per un palcoscenico che io stessa scopro, dice Petra.
Quello che sorprende oltre l’eccellente risultato estetico è però il meccanismo psicologico che la “foto ricordo” instaura in coloro che si avvicinano a certe immagini: a Karaosta in Lettonia, dove l’artista nel 2004 produsse il suo primo esperimento, e nel 2005 a Gropiusstadt , quartiere operaio di Berlino progettato nel ’60 dal celebre architetto, le foto non venivano riconosciute subito come familiari (l’artista usa il termine alltaeglich, quotidiano) forse proprio a causa della sublimazione artistica che le connaturava o forse, come dice Freud, a causa di un passato che spesso ritorna in maniera ambivalente; quello che è heimlich (familiare) può essere spesso unheimlich (sinistro, inquietante) . Chi si avvicina al chiosco è sorpreso da quanta attenzione sia data al suo quotidiano,ci racconta Petra, a Gropiusstadt la gente non sembra così povera come magari in Lettonia, ma spesso è disoccupata. Si dice spesso che Gropiusstadt era meglio prima e spesso il presente è identificato in maniera negativa : “Cosa è successo qui? Le posso solo dire che mi son stati soffiati 3000 euro”‚dice una signora, ma poi quasi ogni casermone viene identificato sempre come “La Casa” da dove la gente si buttava giù.
Se allora, come dice Benjamin (Passages, K 8,2), l’esperienza vissuta (Erleben) al contrario della normale esperienza (Erlebnis) è legata alla memoria involontaria che conserva ma solo a tratti fa riemergere ciò che ci sorprende e ci inquieta, al contrario, il ricordo mirerebbe paradossalmente all’allontanamento delle esperienze unheimlich.
Questo è evidente attraverso gli archivi più o meno anomici di tanti artisti contemporanei , da Richter a Calle, da Boltanski a Hirschhorn; ossessivamente raccolto, catalogato, accudito,oppure affastellato e ripetuto il ricordo si situa in una dimensione spazio – temporale ambivalente fatta di avvicinamento e repulsione; non sempre gli archivi parlano, spesso tacciono. La fotografia estraniante e il lavoro quasi psicoanalitico di Petra Spielhagen danno vita, nell’ordine della pratica artistica contemporanea, all’elemento sociale che era stato rimosso. La Storia non è più da identificare come univoca e schierata ideologicamente, ma è plurima e contaminata, una cronaca a più voci così vicina a certi esperimenti di New Genre Public Art, come ha ben scritto il critico Barbara Buchmaier. Cronaca , questa, in linea con la tradizione della Storia orale, dove però è la comunità ad essere attiva e a inscrivere lei stessa le storie del luogo dove l’artista sceglie di agire. E’ forse proprio il carattere “irriconoscibile” delle foto della Spielhagen ad aiutare il ricordo ad essere detto, reificato, e quindi a non rimanere più fantasmatica presenza ma asserzione, parola detta.